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Tra le nuvole e il desiderio


di Riservato1987
26.06.2025    |    1.228    |    0 9.4
"Ci sistemammo nei nostri posti, l'uno accanto all'altro, senza scambiare troppo altro che qualche parola banale..."
L’aeroporto di Napoli Capodichino era il classico caotico punto di partenza per chiunque avesse fretta, ma in quella mattina autunnale c’era qualcosa di diverso. Il cielo sopra la città era grigio, il che sembrava essere la perfetta metafora di quel viaggio che stavo per intraprendere. Non c’era nulla di speciale in quel volo, né per me né per gli altri. Solo un altro appuntamento di lavoro da assolvere, un altro impegno da spuntare sulla lista delle cose da fare.
Seduto al bar, sorseggiavo il mio caffè, cercando di non guardare l’orologio mentre i minuti scivolavano via. La fila per il check-in era lunga, e mi ero reso conto che avrei dovuto fare un po’ di anticipo per non rischiare di perdere il volo per Barcellona.
Poi, lei entrò nel mio campo visivo.
Era più di una semplice donna elegante. Aveva circa cinquanta anni, ma una presenza che trascendeva ogni categoria di età. I suoi capelli castani, lunghi e perfettamente raccolti, si muovevano come se avessero una vita propria. Il cappotto nero che portava era perfetto per il clima, ma era la sua postura che attirava la mia attenzione. Camminava con una certa sicurezza, come se fosse abituata a essere notata, ma non in modo arrogante. Il suo sguardo, però, tradiva una leggera inquietudine, come se stesse cercando qualcosa che non riusciva a trovare.
Non pensavo che sarebbe stata lei a sedersi accanto a me.
"Scusa, questo posto è libero?" chiese, il tono della sua voce morbido ma deciso.
Guardai il posto accanto a me, sorpreso dal fatto che fosse proprio a me a rivolgersi, ma la mia risposta venne istintiva. "Sì, certo."
Si sedette, lasciando una leggera scia di profumo nell'aria. Non un profumo invadente, ma uno delicato che sembrava riflettere una parte di lei che non si vedeva a prima vista. Non sapevo se fosse la sua bellezza o qualcosa di più sottile, ma c'era qualcosa che mi spingeva a guardarla un po' più a lungo.
"Partiamo per lo stesso volo," disse, spezzando il silenzio.
Mi resi conto che stava guardando il mio biglietto mentre appoggiavo la tazza. "Sì, direzione Barcellona," risposi. "Lavoro."
Lei sorrise, ma c'era qualcosa di distante nel suo sorriso, come se non volesse scivolare troppo nel personale. "Anche io," rispose. "Un incontro di lavoro."
Ci fu un momento di silenzio, ma non sembrava scomodo. Piuttosto, era come se ci stessimo soppesando senza farci troppi domande. Non ero l'unico a sentire quella tensione leggera, quasi elettrica, nell'aria.
"Immagino che sia stato un anno intenso," dissi, cercando di abbattere il muro che sembrava separare le nostre parole. "Barcellona è un buon posto per fare una pausa, anche se solo per qualche giorno."
"Probabilmente hai ragione," rispose, ma il suo sguardo si spostò verso il cellulare, come se qualcosa l'avesse distratta. "Eppure, mi sento come se avessi bisogno di più di una pausa."
La sua risposta, così aperta e al tempo stesso misteriosa, mi colpì. C'era qualcosa di non detto nelle sue parole, un desiderio non espresso che non potevo ignorare. Ma prima che potessi rispondere, la chiamata per l’imbarco riecheggiò nell’aeroporto
La fila per l’imbarco non era lunga, ma la presenza di lei davanti a me sembrava dilatare ogni singolo secondo. Continuavamo a scambiarci sguardi, come se una connessione invisibile ci legasse senza bisogno di parole. La luce proveniente dalle vetrate del terminal illuminava il suo volto in modo inaspettato, facendo risaltare un’ombra di malinconia che non avevo notato prima.
“Mi piace pensare che ogni viaggio cambi qualcosa, anche se solo per un attimo,” disse, senza voltarsi verso di me. Le sue parole avevano un tono filosofico, come se stesse parlando più a se stessa che a me.
“Ogni viaggio ti lascia qualcosa, sì,” risposi, sentendo che le parole avevano una profondità che andava oltre l’occasione. “A volte è solo un dettaglio, ma può essere importante.”
E fu in quel momento che capii che c’era una distanza tra di noi, ma allo stesso tempo un'intesa sottile che ci spingeva ad avvicinarci. La fila si accorciava, ma io sentivo che stavo entrando in un territorio sconosciuto, e non potevo fare a meno di sentire un'irresistibile curiosità nei suoi confronti.
Il momento in cui finalmente saliamo sull’aereo è quello che tutti conosciamo: il fastidio di dover infilarsi tra i sedili, sistemare le valigie e sistemarsi tra le rigide file di poltrone.
Il destino, o forse solo la casualità, voleva che i nostri posti sull'aereo fossero vicini.
I sedili erano stretti, e, nonostante l'efficienza del volo e il comfort apparente, la vicinanza era quasi palpabile.
Ci sistemammo nei nostri posti, l'uno accanto all'altro, senza scambiare troppo altro che qualche parola banale. I rumori del decollo, il fruscio dei passeggeri che allacciavano le cinture di sicurezza, si mescolavano alla tensione silenziosa che cresceva tra noi.
Ci guardavamo, senza dire nulla. L'aereo aveva appena preso quota e, con esso, sembrava che anche la distanza tra di noi si stesse riducendo.
Un minuto o due passarono in silenzio, e poi, quasi come se avessimo entrambi sentito lo stesso impulso, lei mi guardò con un'espressione che pareva riflettere una curiosità sottile.
"Scusami, mi sono resa conto che non ci siamo ancora presentati," disse, il tono di voce morbido, ma diretto. Un sorriso appena accennato sulle sue labbra.
L'imbarazzo che avevo cercato di nascondere si fece più evidente in quel momento. “Hai ragione,” risposi, sorridendo goffamente, mentre sistemavo lo zaino sotto il sedile. “Mi chiamo Francesco.”
Lei annuì, poi fece un piccolo gesto con la testa, come se fosse stata in attesa di quel momento per dire il suo nome. "Alessandra," disse, con la voce che sembrava perfetta per il suono di quel nome.
“Piacere di conoscerti, Francesco,” rispose lei, mantenendo lo stesso sorriso, ma questa volta c’era un pizzico di complicità in più, come se stessimo condividendo una piccola verità che nessun altro poteva capire.
La sua presenza accanto a me sembrava avvolgere l’intero spazio. Le luci soffuse dell’aereo riflettevano sul suo viso, e per un istante il mio sguardo si perse nei suoi lineamenti delicati. Il suo profumo, quasi impercettibile, sembrava riempire l'aria attorno a noi, ed era come se il tempo, per un attimo, si fosse fermato.
Senza sapere bene cosa dire, guardai fuori dal finestrino. Barcellona era ancora lontana, ma la città sembrava già un punto di fuga, un’idea che avrei voluto esplorare.
"Tu viaggi spesso per lavoro?" chiesi, più per rompere il silenzio che per reale curiosità, ma la sua risposta mi prese inaspettatamente.
"Sì, spesso," rispose, con un tono che nascondeva una lieve malinconia. "Ma non è mai davvero facile separarsi da tutto... dal marito, dai figli... da quella vita che ti aspetta sempre lì, anche se vorresti solo fuggire per un po’."
Le sue parole rimasero sospese nell’aria, e capii che non parlava solo del lavoro. C’era un velo di qualcosa più profondo, una difficoltà nascosta dietro quel sorriso controllato, che mi incuriosiva sempre di più.
"Non è facile," ripetei, anche se non ero del tutto sicuro di cosa intendesse. Eppure, c’era qualcosa di connesso tra le sue parole e i miei pensieri, come se fossimo entrambi in cerca di un momento di fuga.
Il volo iniziava ad avvicinarsi a Barcellona, e con il ronzio più lieve dei motori e le prime luci della città che si intravedevano all’orizzonte, anche l’atmosfera tra noi cambiava.
Il tempo passato insieme, breve ma intenso, aveva creato un legame inatteso, un’intesa fatta di sguardi e parole non dette, di piccoli momenti di complicità e di quel desiderio sottile che si sente solo quando l’incontro sembra sospeso tra realtà e sogno.
Mentre l’aereo rallentava e la voce del comandante annunciava la discesa, sentii il bisogno di non lasciar andare quel momento senza una promessa, anche vaga, di continuare quel percorso.
Con un sorriso che sapeva di timidezza e speranza, tirai fuori il telefono. Lei fece lo stesso, senza dire una parola, ma con lo sguardo che già brillava di una nuova energia.
“Ci scambiamo i numeri?” chiesi, cercando di non sembrare troppo impaziente.
Lei annuì, con un lieve sorriso, e con un gesto fluido digitò il suo numero nel mio telefono, poi io feci lo stesso sul suo.
“Così, quando siamo liberi, potremo prenderci un aperitivo,” aggiunsi, come fosse una piccola promessa sospesa.
Il suo sorriso si fece più caldo, e annuì ancora.
“Mi piace l’idea.”
Le luci di Barcellona ormai erano più vicine, e mentre l’aereo toccava terra, il battito del mio cuore sembrava seguire il ritmo dell’atterraggio.
Quando finalmente ci alzammo per uscire dall’aereo, uno sguardo veloce, un sorriso carico di significato e un arrivederci che non voleva dire addio.
Ci saremmo scritti, ci saremmo cercati. E chissà cosa sarebbe successo dopo.
CONTINUA...
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